Il trionfalismo di Zingaretti per alcuni dati del rapporto “Prevale” presentato dal Dipartimento di Epidemiologia non è completamente giustificato, visto che il panorama complessivo rappresentato dallo studio è di una sanità laziale ancora in alto mare.
I dati concernenti le malattie croniche ci consentono di valutare gli effetti reali della tanto decantata integrazione socio sanitaria: partiamo dalla BPCO (Bronco pneumopatia Cronico Ostruttiva), il tasso di mortalità per tale patologia sale dal 9% del 2014 al 9,7% del 2016. Il motivo va ricercato nelle carenze assistenziali e nell’incapacità di prendere in carico i pazienti da parte del territorio. Perché? Le riammissioni ospedaliere per BPCO a trenta giorni a causa di una riacutizzazione della malattia salgono dall’11,5% all’11,8% e la mortalità a seguito di tali riammissioni raggiunge addirittura il 22% (era il 20,7% nel 2014). La cosa non stupisce considerando che nel 2015 il tasso di adesione alle terapie farmacologiche, a causa della mancata presa in carico territoriale e dell’inesistenza del PDTA (percorso diagnostico terapeutico assistito), superava appena il 33% dei pazienti e comportava la conseguente riacutizzazione della malattia.
La riabilitazione a seguito di Ictus, punto nodale della continuità assistenziale e vero elemento nevralgico della sanità regionale, è profondamente carente in quanto ben il 33,5% dei pazienti che è entrato prima e poi dimesso da una struttura riabilitativa è nuovamente ricoverato in acuzie dopo trenta giorni con un indice di mortalità che arriva al 17,5%!
Di certo non un dato confortante per una popolazione che invecchia sempre più e che quindi è più soggetta a tali patologie.
Infine per quanto riguarda il tumore alla mammella, da rilevarsi il dato preoccupante della continua crescita della patologia e dei relativi interventi. Tuttavia gli interventi di tipo conservativo sono proporzionalmente inferiori rispetto a quanto siano effettivamente gli interventi totali. Gli interventi demolitivi passano purtroppo dal 47% al 54% nel 2016. Tra l’altro si evince che il numero delle pazienti che fanno una mammografia nei diciotto mesi successivi a una dimissione dopo l’intervento per tumore maligno alla mammella è ancora molto basso a causa di un territorio che, malgrado le decantate case della salute, è assolutamente incapace di assolvere il proprio compito di garantire la continuità assistenziale.
Lo dichiara Silvia Blasi, capogruppo M5S Lazio